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Spese oltre il proprio reddito: i controlli dell’Agenzia delle Entrate.

Il redditometro è lo strumento che consente all’amministrazione finanziaria di ricostruire il reddito della persona fisica, partendo dalle spese effettivamente sostenute, o da elementi certi, indicativi di una determinata capacità di reddito.
Se nella sua originaria formulazione il redditometro prevedeva l’applicazione di un metodo induttivo, individuando circa cento voci di spesa utili a definire attraverso i consumi la capacità contributiva, e dunque il reddito assoggettabile ad imposta, le attuali istruzioni operative evidenziano un procedimento che mira ad una ricostruzione sintetica del reddito considerando, per ciascun anno di imposta, l’incremento del patrimonio, la quota di risparmio e le spese oggettivamente riscontrabili.

Rimane sempre salva la possibilità, da parte del contribuente, di dimostrare, in sede di contraddittorio con l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate, l’inesistenza o la diversa qualificazione degli elementi considerati.
L’accertamento effettuato con il redditometro non costituisce una novità: esso era infatti già previsto dal nostro sistema tributario, tuttavia con un osservatorio di spese molto più limitato e costituito da voci spesso inconsuete per la maggior parte dei contribuenti (ad esempio, l’acquisto di velivoli, cavalli, imbarcazioni, ecc.). ’attività di controllo propedeutica all’accertamento da redditometro è costituita da due fasi:
la selezione del contribuente, nella quale è identificata la sua famiglia di appartenenza, dovendosi desumere che è solitamente il reddito dell’intera famiglia a concorrere al sostenimento delle spese. In questo senso, per famiglia non si deve intendere quella anagrafica, costituita da tutti i familiari conviventi, ma la “famiglia fiscale”, costituita dal contribuente, dal coniuge e dai familiari a carico (in sostanza, le persone che concorrono agli introiti e alle spese);
l’attività istruttoria, nella quale sono esaminati tutti gli elementi utili alla ricostruzione del reddito.
Il redditometro prevede infatti una serie di “spese certe”, ovvero con importi già conosciuti dal fisco, ed altre “spese per elementi certi”, cioè legate a fattori oggettivi e già noti al fisco, ad esempio i metri quadri dell’abitazione o la potenza degli autoveicoli.


Al fine di avviare una selezione dei contribuenti accertabili, sono state individuate quattro tipologie di spese utili alla ricostruzione del reddito:
spese certe: si tratta di spese tracciate e già conosciute dal fisco, ad esempio, affitti, mutui, polizze;
spese per elementi certi: sono tali quelle spese che, anche se non esattamente riscontrate, il contribuente non può non avere sostenuto, in quanto derivano da elementi di cui dispone, come la casa o l’automobile, il cui possesso non può non generare determinate uscite (assicurazione, tassa di possesso, utenze, ecc.);
incrementi patrimoniali: sono gli investimenti, al netto di eventuali disinvestimenti, effettuati nell’anno, ad esempio immobili (al netto del mutuo), azioni, obbligazioni, altri strumenti finanziari, oggetti d’arte, manutenzioni straordinarie sugli immobili, ecc.;
quota di risparmio formatasi nell’anno: si ritiene che tale elemento debba essere considerato in concomitanza con le informazioni finanziarie sui movimenti e sui saldi bancari, già reperibili dall’amministrazione finanziaria (tale quota rileva comunque per la sola parte eccedente consumi e investimenti).
A queste spese si sarebbero dovute aggiungere quelle per beni e servizi “normalmente” attribuibili a ciascun contribuente, individuate in base alle elaborazioni ISTAT (alimentari, abbigliamento, consumi, ecc.), con una valenza ridotta, nella procedura dell’accertamento, trattandosi di indici alquanto opinabili (fra le voci di spesa astrattamente collegabili al reddito prodotto rientrava anche il cosiddetto “fitto figurativo”, cioè un ipotetico canone di affitto, da considerare in assenza di un diritto sull’immobile quale la proprietà, l’uso gratuito, la locazione, ecc.).
ella attuale formulazione della norma, tali elementi sono stati definitivamente eliminati, anche a seguito dei rilievi mossi dal Garante della Privacy, che aveva richiesto di non utilizzare le “spese medie ISTAT“ come indicatori nella ricostruzione del reddito, in quanto informazioni connesse alla sfera personale del cittadino, e comunque prive di qualsiasi requisito di certezza e riferibilità al singolo contribuente.


A questo proposito è stato pertanto previsto che le spese quantificate su base soltanto statistica non possano essere considerate in nessuna fase dell’attività di controllo, né nella selezione dei contribuenti, né nella successiva istruzione dell’accertamento, fatta eccezione per quelle spese connesse ad elementi certi quali, ad esempio, il possesso di immobili, di autoveicoli, di altri beni mobili registrati, ecc. La legge prevede che l’accertamento (che scatta dopo l’invio di un questionario al quale il contribuente deve rispondere; v. di seguito) possa avvenire soltanto nel caso in cui la differenza fra il reddito dichiarato e quello accertato sia superiore al 20%.
La percentuale di tolleranza è ulteriormente ampliata mediante una “norma premiale” a favore dei contribuenti lavoratori autonomi o titolari di ditte individuali che risultino congrui e coerenti agli studi di settore: in tal caso, e soltanto per i periodi di imposta a partire dal 2011, lo scostamento ammesso è del 33 % (un terzo, anziché un quinto). Il redditometro mira a ricostruire il reddito individuale, cioè quello della persona fisica, tenendo conto della spesa media sostenuta dal nucleo familiare cui il contribuente appartiene (sono sempre escluse le spese sostenute nell’esercizio dell’attività di impresa o nel’esercizio di arti e professioni).
Il contribuente accertato potrà dimostrare che parte delle spese non è riconducibile al suo reddito, in quanto sostenuta, del tutto o in parte, da un’altra persona, ad esempio il coniuge o un altro parente, evidentemente titolare di un reddito proprio.

Occorre però sottolineare come l’interpretazione dei giudici, in merito all’uso del redditometro quale strumento di verifica fiscale, non sia mai stata univoca, considerandolo talvolta alla stregua di “presunzione semplice” (quando l’onere della prova compete al fisco), talvolta di “presunzione legale” (in tal caso, si inverte l’onere probatorio, che compete al contribuente).
Una recente circolare dell’Agenzia delle entrate esamina nel dettaglio – tra l’altro – i criteri di selezione dei contribuenti, anche nell’ambito familiare, le regole del confronto del contribuente con il fisco (contraddittorio) e la dinamica delle spese: v. http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/file/Nsilib/Nsi/Documentazione/Provvedimenti+circolari+e+risoluzioni/Circolari/Archivio+circolari/Circolari+2013/Luglio+2013/Circolare+24+31072013/circolare+24e.pdf. L’accertamento da redditometro prevede due contraddittori. Il contribuente dovrà infatti essere convocato presso l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate per un confronto, nel quale potrà esporre quanto ritiene utile ad una esatta ricostruzione del proprio reddito. Il contraddittorio, del quale dovrà essere redatto un verbale sottoscritto dalle parti, non esaurisce l’attività accertatrice dell’Ufficio che, preso atto di quanto esposto dal contribuente, dovrà valutare l’archiviazione del procedimento o l’emissione dell’avviso di accertamento, contro il quale è prevista la consueta procedura di difesa, con i diversi strumenti a disposizione: l’acquiescenza, l’adesione, la mediazione o il ricorso (vedi anche la scheda sugli strumenti a difesa del contribuente). Per i controlli è previsto un procedimento articolato in due fasi: la prima prevede l’invio di un questionario con l’invito a fornire giustificazioni sulle incongruenze riscontrate dal fisco con riferimento su diverse tipologie di spese. Al questionario si deve rispondere entro 15 giorni dalla data di notificazione (è possibile chiedere all’ufficio che ha inviato il questionario – in particolare al funzionario responsabile del procedimento – una proroga motivata per la consegna dei dati e della documentazione richiesta) : la mancata risposta può comportare l’applicazione di una sanzione amministrativa da € 258 ad € 2.065, e anche l’impossibilità di utilizzare nella fase successiva davanti al fisco o al giudice i dati e le notizie non addotti dal contribuente in risposta alla richiesta ricevuta; la seconda fase (l’accertamento) scatta quando i dati e le spiegazioni fornite non sono ritenute soddisfacenti dal fisco.

Il contribuente la cui posizione è stata selezionata è quindi invitato a presentarsi di persona o tramite un rappresentante abilitato (il proprio fiscalista, ad esempio). Si tratta di un primo contraddittorio, nel quale il contribuente collabora alla analisi delle voci di spesa sostenute, fornendo le indicazioni utili a dimostrare la coerenza e la legittimità del proprio comportamento. Qualora tali dimostrazioni non siano ritenute sufficienti e permanga, nella ricostruzione effettuata, uno scostamento fra quanto dichiarato dal contribuente e quanto ricostruito dal fisco, oltre le franchigie sopra indicate, l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate emette l’avviso di accertamento, cioè l’atto in cui sono esposte le motivazioni dell’accertamento, il metodo utilizzato, il maggior reddito individuato con relative imposte, sanzioni e interessi, nonchè l’intimazione a pagare entro i termini previsti.
In presenza di avviso di accertamento, il contribuente ha facoltà di attivare ogni forma di difesa prevista in ambito tributario (vedi scheda sugli strumenti a difesa del contribuente).