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Legge 231/2001, tutto ciò che c’è da sapere.

Perché negli ultimi anni si è diffuso il concetto di compliance aziendale? Cosa prevede la famosa legge 231?
Compliance significa conformità/rispetto delle leggi e delle normative esterne (leggi, regolamenti, norme) ed interne (procedure, istruzioni, manuali, ec.). Negli ultimi anni questo bisogno è divenuto sempre più sentito in realtà strutturate come quelle degli enti collettivi.
Il rapporto tra la funzione compliance e la famosa legge 231 è di grande attualità, poiché oggi è assolutamente possibile che una società sia considerata responsabile da un punto di vista “penale”.
Ciò ha rappresentato una profonda novità in ordine al concetto di responsabilità penale che fino ad allora era stato auspicabile solo in capo alle persone fisiche: l’art. 27 della Costituzione ne riconosce un profilo strettamente personale.
La reinterpretazione di questo principio ha rappresentato un importante passo avanti proprio nell’ottica di combattere il rischio di impunità di quelle fattispecie penali che non sono una mera espressione della condotta del singolo, quanto piuttosto il riflesso di scelte di politica d’impresa. Il decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, ha introdotto nell’ordinamento italiano, in conformità a quanto previsto nel sistema europeo, la responsabilità degli enti per gli illeciti conseguenti alla commissione di un reato.
Si tratta di una responsabilità autonoma (e aggiuntiva) rispetto a quella penale prevista per il singolo individuo, che colpisce direttamente il patrimonio degli enti che abbiano tratto un vantaggio dalla commissione di determinati reati. Ovviamente, autori materiali dell’illecito penale sono persone fisiche che svolgono ruoli particolari all’interno della società o che operano nell’interesse di quest’ultima.
Volendo semplificare, l’ente è sottoposto ad una responsabilità amministrativa come conseguenza della commissione di un reato da parte dei soggetti persone fisiche che operano presso lo stesso. L’art. 1 del decreto 231, chiarisce che le norme previste si applicando agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica.
Non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.
I principali destinatari della normativa sono quindi imprese e associazioni.L’illecito amministrativo dipendente da reato si realizza in presenza dei seguenti presupposti:
commissione di un determinato reato, da parte di una persona fisica, definito reato presupposto in quanto parte di un elenco tassativo disposto dal D. Lgs. 231;
il soggetto agente deve svolgere un ruolo apicale all’interno della società (es. rappresentanza, amministrazione, gestione, direzione, controllo) o è legato all’ente da un rapporto di dipendenza;
il reato deve essere commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente.
L’Ente non risponde se i soggetti sopra menzionati agiscano nell’interesse o a vantaggio proprio o di terzi.
L’interesse e il vantaggio si riferiscono alla condotta e non ai benefici che ne conseguono (Cass. sentenza 24697/2016). Ciò vuol dire che la punibilità scatta anche quando il beneficio desiderato non viene materialmente conseguito.
Interesse e vantaggio sono due concetti distinti e autonomi.
Il primo fa riferimento alla sfera psicologica dell’autore, il quale agisce con l’intenzione di ottenere una utilità, a prescindere che ciò avvenga. Per meglio comprendere questo concetto, un caso piuttosto frequente da prendere come esempio è l’inosservanza delle norme antinfortunistiche. L’intento del soggetto agente non è quello di arrecare una lesione ai lavoratori, ma ottenere un risparmio economico, di spesa, grazie alla mancata attuazione dei dispositivi di sicurezza adeguati.
Ciò, determinerà una responsabilità derivante da reati colposi per non aver applicato la normativa cautelare.
Il vantaggio si caratterizza come complesso dei benefici – soprattutto di carattere patrimoniale – tratti dal reato, che può valutarsi successivamente alla commissione di quest’ultimo (Cass., II Sez. pen., sentenza n. 3615/2005). La legge 231/2001 chiarisce in presenza di quali circostanze l’ente non è considerato responsabile, oltre che fornire un elenco dei reati considerati come presupposto. Precisamente, l’art. 6 del decreto chiarisce che l’ente non risponde se prova che:
a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo (OdV);
c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b).
Con questo disposto si vuole precisare che l’ente interessato può adottare i cd. modelli di organizzazione e di gestione (MOG) e istituire un organismo di vigilanza (OdV) per beneficiare dell’esonero di responsabilità, ovviamente se correttamente applicati e nel rispetto delle altre condizioni.
L’introduzione di questi due elementi all’interno della realtà aziendale non è un obbligo ma una facoltà di scelta che spetta all’organo amministrativo e che chiaramente riconosce efficacia esimente in ordine all’attribuzione della responsabilità. Il MOG fissa delle regole di condotta da osservare nei confronti dei clienti, fornitori, Pubblica Amministrazione, dipendenti e di tutti coloro che possono essere influenzati o avere un interesse nella società.
Come accennato, l’integrazione di un MOG non è un obbligo, tuttavia diventa un onere per le società che intendano esonerarsi dalla responsabilità amministrativa e dalle sanzioni conseguenti.
La corretta adozione del Modello 231 esclude l’ente dalla responsabilità dell’illecito commesso dai sottoposti o dai soggetti apicali, se si accerta che questi abbiano eluso, ossia aggirato fraudolentemente, le prescrizioni contenute nel Modello.
Il Modello di organizzazione e di gestione si compone di una parte generale e una speciale.
La parte generale contiene un’ampia definizione dell’ente e delle attività svolte, la normativa di riferimento, il modello con la descrizione del suo funzionamento e le ragioni per la sua introduzione.
Sono presenti dei riferimenti generali al Codice Etico, all’Organismo di Vigilanza (struttura, composizione, poteri), modalità di formazione e informazione dei dipendenti, indicazione delle sanzioni conseguenti alla violazione di tali regole di condotta.
La parte speciale contiene invece un elenco dei reati presupposto che possono consumarsi, in relazione all’attività svolta dalla società.
In realtà si possono avere diverse parti speciali: Codice Etico, il sistema di deleghe e poteri, l’organizzazione interna, il sistema disciplinare e la matrice dei rischi ed i protocolli. L’Organismo di Vigilanza svolge una serie di attività individuate dagli artt. 6 e 7 della legge 231 (così sintetizzate da Confindustria nelle proprie linee guida):
vigilanza sull’effettività del modello, cioè sulla coerenza tra i comportamenti concreti e il modello istituito;
esame dell’adeguatezza del modello, ossia della sua reale – non già meramente formale – capacità di prevenire i comportamenti vietati;
analisi circa il mantenimento nel tempo dei requisiti di solidità e funzionalità del modello;
cura del necessario aggiornamento in senso dinamico del modello, nell’ipotesi in cui le analisi operate rendano necessario effettuare correzioni ed adeguamenti.
per quanto riguarda la sua composizione, la legge non detta requisiti da rispettare. In base alle dimensioni dell’ente, si attribuiranno tali poteri ad un organo monocratico o collegiale.
In imprese di piccole dimensioni tali compiti possono essere svolti anche dall’organo dirigente.
L’OdV deve svolgere le proprie funzioni nel rispetto dei seguenti requisiti:
autonomia e indipendenza (rispetto ad interferenze e condizionamenti di altri componenti);
professionalità (specifiche competenze professionali);
continuità di azione (struttura apposita dedicata all’attività di vigilanza costante). Alla commissione di un reato presupposto corrisponde una responsabilità amministrativa dell’ente, mediante l’applicazione di sanzioni pecuniarie e interdittive.
L’art. 8 indica le seguenti sanzioni:
a) la sanzione pecuniaria;
b) le sanzioni interdittive;
c) la confisca;
d) la pubblicazione della sentenza.
Le sanzioni interdittive sono:
l’interdizione dall’esercizio dell’attività;
la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
I reati presupposto sono espressamente previsti dagli art. 24 al 26 del decreto:
reati contro la pubblica amministrazione (es. corruzione, concussione, induzione indebita);
reati contro la fede pubblica (es. falsità in monete, contraffazione, alterazione o uso di marchi, di brevetti, modelli e disegni);
reati contro l’ordine pubblico (es. associazione mafiosa, scambio elettorale politico-mafioso);
reati contro la persona (es. omicidio o lesioni commessi in violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro);
reati informatici (es. accesso abusivo a un sistema informatico, danneggiamento di programmi informatici);
reati societari (es. aggiotaggio, false comunicazioni sociali);
reati ambientali (es. disastro ambientale, traffico e abbandono di materiali ad alta radioattività).
Con la L. 19 dicembre 2019, n. 157, è stato aggiunto l’art. 25 quinquiesdecies alla legge 231, in materia di delitti di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture, di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.
Le fattispecie delittuose elencate consistono in reati dolosi (anche nella forma tentata) e colposi, interessando tutti i settori e i processi aziendali, da quelli direzionali a quelli operativi. La disciplina in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ha avuto il merito di avviare un importante cambiamento nella cultura aziendale, favorendo attraverso l’adozione dei modelli di organizzazione e di gestione un’arma per contrastare e soprattutto prevenire la commissione dei reati.
In questo modo è possibile individuare in via preventiva tutte quelle attività ritenute “rischiose” , attraverso la predisposizione di specifici protocolli in grado di assicurare una corretta formazione ai dipendenti e orientando le decisioni assunte dall’organo sociale in relazione ai reati da prevenire. Fonte: obiettivoprofitto.it