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Il recesso dal preliminare

Nel caso di contratto preliminare di compravendita immobiliare il promissario acquirente può legittimamente rifiutarsi di stipulare la compravendita definitiva qualora risultasse che l’immobile sia privo dei certificati di abitabilità o di agibilità e di conformità alla concessione edilizia, pur se il mancato rilascio dipendesse da inerzia del Comune, nei cui confronti, peraltro, è obbligato ad attivarsi il promittente venditore; poiché i predetti certificati sono essenziali, avendo l’acquirente interesse a ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico-sociale, nonché a soddisfare i bisogni che inducono all’acquisto e, cioè, la fruibilità e la commerciabilità del bene.
E, infatti, la clausola contenuta in un contratto preliminare di compravendita immobiliare che prevede l’assenza del certificato di agibilità non è sufficiente per considerare illegittimo il rifiuto del promittente acquirente a stipulare il contratto definitivo. Difatti, tale clausola non implica necessariamente una rinuncia da parte del promissario acquirente a ottenere dal promittente venditore il documento attestante l’agibilità dell’immobile compromesso in vendita, stante un obbligo generale del venditore a consegnare i documenti relativi “alla proprietà e all’uso della cosa venduta”, in base a quanto disposto dall’art. 1477, c. 3 c.c. Per la Cassazione, dunque, l’omessa produzione della documentazione relativa all’agibilità costituisce inadempimento di non scarsa importanza del venditore, tale da legittimare pienamente il recesso della controparte.

Un’altra causa che legittima il recesso dal preliminare di compravendita è l’ipotesi di danneggiamento dell’immobile, laddove la giurisprudenza ha chiarito che, in materia di compravendita immobiliare, il danneggiamento dell’immobile nell’arco temporale tra la stipula del preliminare e la data prevista per il definitivo rappresenta una condotta del promissario alienante violativa delle regole di correttezza e buona fede, ex artt. 1175, 1176 e 1375 c.c., tale da legittimare il recesso del promissario acquirente.
La clausola generale di buona fede e correttezza è, infatti, operante tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell’ambito del singolo rapporto obbligatorio, quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all’esecuzione di un contratto, concretizzandosi nel dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell’interesse della controparte (Tribunale Pavia sez. III, provvedimento 7.02.2019, n.225).

Infine, la Corte di Cassazione, con la sentenza 8.09.2017, n. 20961, ha chiarito che il promissario acquirente di un immobile, garantito libero da ipoteche ma, in realtà, da esse gravato, può legittimamente rifiutare di stipulare il contratto definitivo finché tali formalità pregiudizievoli non siano cancellate dal promittente venditore e, al riguardo, ha la facoltà e non l’obbligo, ex art. 1482, c. 1 c.c. (applicabile al contratto preliminare), di chiedere al giudice la fissazione a quest’ultimo di un termine per la liberazione dal vincolo. Ove, tuttavia, il promissario acquirente comunichi al promittente venditore, in presenza di un inadempimento grave di costui ed allo stesso imputabile, il proprio recesso dal contratto, quest’ultimo non può, per effetto dell’art. 1453, c. 2 c.c., attivarsi per ottenere la cancellazione della garanzia.